lunedì 22 aprile 2013

Lorenzo Calogero, 'Premessa' di G. Tedeschi all'opera ed. Lerici, completa.

Ecco qui la 'Premessa' completa all'opera di Lorenzo Calogero. In questi giorni, come avevo peraltro fatto in precedenza, ho fatto un timido tentativo, - che forse dovrei definire  'questua indecorosa'- , di far leggere questo 'post', in modo che qualcuno si interessasse alla vita di LC. Sapevo dell'inutilità del tentativo, come so da sempre che nulla si può veramente chiedere a chicchessia. Davanti a tanto rigido ostracismo avevo pensato anche di cancellare tutte le 'cose' che ho appuntato senza pretese in questo blog. Infatti sto ricopiando quelle cose che mi sembrano non 'migliori' ma più intime, mie, per poi vedere cosa fare. Molte cose mi legano all'esistenza di LC, molti suoi aspetti mi attirano, molti passaggi mi hanno impaurito e indotto per tempo a scappare, e a rifuggire la poesia.
Ma forse ho chiesto troppo. Non si può chiedere a chicchessia di entrare in un 'continuum poetico', ci vorrebbero un tempo e un sentire adeguati, non è roba da esercizietto 'scolastico'. Bisogna 'esserci', 'farci' non basta. E poi, le cose di LC, singolarmente potrebbero non dire nulla; è nel loro complesso che mi fanno -o facevano, per fortuna- sentire il travaso uomo-poesia. E magari sbaglio anche a parlarne. Soprattutto a parlarne con dei sordi che vogliono solo apparire, che vogliono solo sovrapporsi con critiche magniloquenti. Ma tant'è...
Questa riedizione della 'Premessa' la voglio dedicare a quelle personcine gravide di poesia, a coloro che sentendosi investiti da tanto 'spirto' credono di potersi mostrare migliori e inappuntabili, agli artisti di se stessi che sono in realtà solo degli sciocchi e dei vanitosi maneggioni della penna; la dedico a quelle pezze da piedi che si atteggiano a critici a buon mercato, a quegli stronzetti che per aver imbroccato una rima al mezzo, una assonanza, credono di poter modulare il mondo dei sentimenti, sempre in cerca di qualche gallinella da brodo da abbindolare; la dedico a tutti quelli che dell'arte della parola disgiunta dal sentire han fatto l'arte del fottere il prossimo; la dedico a tutte quelle campane che frignano in versi attorniate da prefiche di parte. In generale la dedico a quanti sono organizzati in modo da poter decretare un ostracismo o una damnatio memoriae per chi non li adula o almeno elogia. E a tutti quelli che, anche per mezzo della poesia, 'piangono e fottono', e sono tanti, una camarilla affollatissima.
La dedico anche a questo fantomatico 'rigobianco' che mi rompe con la storia che non ha fatto in tempo a leggere tutto lo scritto. Copia, incolla, e sparisci, per favore, che devo cancellarla da qui, sta cosa che non so nemmeno se sia legale o meno. Quindi leggi, che poi la sposto su un altro sito, visto che qui occupa troppo spazio:
https://sites.google.com/site/appartenenze/lorenzo-calogero-premessa-alle-opere-di-g-tedeschi


sabato 20 aprile 2013

ciridosu

m'ancora in alto, l'acufene solitario
quando scocca l'ora
e in forme di sveglia mi richiama
io corro dove lui mi aspetta
e dicono che sia spia
ma in fondo
è un tocchettio quasi compagno
un tempo che mi batte, un altro...

non cercare

non cercare in parole
non sono nelle sillabe
le righe ho corse, per non vedere
sono meglio un accento confuso
forse un cenno
chissà di scuse
o magari
un sorriso che diverta
un passo che deliri
e pioggia che debordata ascolti.


sono pochi attimi

sono pochi attimi solidi
basi attente, ormeggi
le baie delle mille sirene pronte
i balzi che ricordo
e sugli scogli
viscidi i pensieri
una vista dal mare
fino ai calanchi ruvidi di terra
dove affioranti mutano funzione le radici
di questa terra drenata che so
e scavo nei pensieri senza un fondo,
sdrucciola base!,
il tempo ché scalze
le braccia levi dalla terra al cielo

quando il mare rimanga a guardare.

venerdì 19 aprile 2013

dormire un sogno

dormire un sogno che non abbia
residenza di parole
da non ridire cenni
e che l'abitino gli occhi

un sogno inverso,
un'aria sussurrata di ritorni.

giovedì 18 aprile 2013

e un'eco sfiora.

e un'eco sfiora
con profondità di sera
la siepe non dichiara altro
che un chiuso di frontiere
di chi sapranno
le irraggiungibili corolle
può bastare, forse
questo giallo che si indora
tra i piccoli esagoni a recingere
o chissà
a costringere
l'essenza del petalo in un pugno
ma cammino, e nella sera
è come un fine.


ti leggo nel sonno (ad un poeta pazzo; ma senza invenzione)

ti leggo nel sonno
d'un treno smorto d'aprile
nello stridio moderno dei freni
nelle discese silenziose
degli sguardi cuciti ti leggo
nelle borse sottobraccio serrate a fiori
ti leggo e non oso
altre sortite
il conto è esatto
e non rimane altro resto

qualcosa d'amaro che trascende
pensare ai tuoi versi
dopo un secolo, se  anche fosse,
e la somma è la stessa,

una mano
una mano stanca che pencola dai pensieri.

mercoledì 17 aprile 2013

volevo forse essere

volevo forse essere
nei pensieri dei poeti
si nasconde spesso la rapidità
del calcolo
che spesso non essere
che un conto spietato
una parola che offende
una visione che scolora

al povero poeta sentimentale
basta appena morire
anche per più fiate al giorno
leccandosi desueta una parola
antica che collimi
e pure
sapere che la somma
di morti tot al giorno
non è come morire
tutto in un solo giorno.

lascia che si perda

lascia che si perda
l'attimo che non passa non ha futuro
ho perso la foto del tempo con l'anello al dito
di chi era la mano
questo vorrei sapere
quella superficie che combaciava
piana
ma in abissi di righe
il corallo è smarrito
e le chiglie non lasciano altri segni
che di sabbie svanite
mi incanto al torcersi dei cordami
una barca di paure scivola
dalla sua stessa orma
via dalla riva
sul punto di spezzarsi
come che sia
e s'affina il palato all'amo
dove la grotta urla
e tutto
schiuma.

E non si nasconde un attimo.



martedì 16 aprile 2013

quanto dura

quanto dura
il taglio che impressiona
il tempo delle messi
se già declina
e invano scorrono mani
il piano di spighe a indurire

ah, godersi sin d'ora l'inganno stormire
di cedua promessa
e di biche imbiondire le viste

ma quando,
se il taglio del tempo già urge alla meta...

domenica 14 aprile 2013

già dimorano

già dimorano parole di maggio
ed in aria m'immagino
le rondini e le rotte
i lazzi striduli
e le code, le più aguzze
del rondone

già si inseguono le ali
e i pensieri fatti
lievi di battiti
quasi a tutela
si avvolgono agli steli

dicono di non andare
di un non lasciarsi
di sperare

ma è nera, come d'arature la terra
che ha già dato, tenue
di speranza troppo a lungo a dimora

e allora

e allora
in una terra d'aprile
migliore di questa
che l'oggi
irride
come scomposta
verde ritratto
e crepe a sezionare
i pensieri, i soli ormai
travalicano
e i residui non offrono riparo ai desideri

le mani smettono le ricerche
e ripartono, ognuno di spalle
le dita
che ma allora
quel segnare a terra d'aprile
era d'unghia
e la crepa
un rosso di ferita

questa traversata e non altro
è stata, lunga
interminata di paura, la sola
scomposta e pure
piana d'intermittenze e di futuro

ma ora
ma ora
tu avevi ali smunte e il becco rosso
smesso d'aprile ai bordi di un fosso
e facile è scuoterti in punta di piedi
a dire che no, non può essere un merlo.

sabato 13 aprile 2013

eccoti, meridiana

eccoti, meridiana
a segnalare un tempo
impercettibile, un ritmo
che più non serra
o quasi

me ne sto, di me ridendo
ma solo un po'
perché non m'abbia
il tuo di tempo in uggia

torna per te la stagione
lo scrivo alle mie spalle
come è giusto che sia

e mi riavvio, più lento
quasi parte di una bordura
dove affido pensieri a un gorgoglio
che ormai non chiede che finire

a lato, dove si fa sera delle mani
grandi che invitano oblique
a strie di risalita

chissà quale colore scioglierà nella tua notte il cielo...

e tutto contare

e tutto contare
ore e passi
e ostentare
un belvedere falso
come un piano che rimescoli
orizzonti e materie
in mercuriale spasso
poi a spaglio
i giudizi e se permetti
una pacca per la spalla destra
una zeppa, qui
proprio in fondo al tacco
e ricominciare
e tutto ricontare
ora che ripassino
ricurve le rie ore.

vado a mente

vado a mente
dove mi salva
recondito
un luogo delle infanzie
tutte
sotto una falda che premeva il vento
e i graffi quasi a chiedere
appena sopra ai ginocchi
sollievo a un'aria trista di carezze

il rondone, in alto
ferreo nella sua presa
il filo, tragico, forte del suo destino

e tu in attesa, graffiata dalle fascine

gli implumi nei nidi non urlano
forse il dolore non ha tempo
per chi non ha più voce.

parlare a braccio

parlare a braccio, come di silenzi
e assenze, orme forse
intercorse di stanze e omissioni
di occorrenze: non ci sono parole
e ci separano bracci insuperabili
di mari dentro, dove tu rimani
quale sei, idea dolente
che di te stessa intessi
una trama di sere e isole senza vela.

venerdì 12 aprile 2013

un profilo già ridisegna

un profilo già ridisegna il vento
un volto del nuovo
che mi sopravanza

io mi ricordo
del taglio della mano
ad appartare dalle sabbie guance
e se mi cerchi bocche
e se mi alzo affondi
così sparivano
quasi cerchi di sabbia
mai nati i disegni ignari ai silicati

la sabbia ha ripreso i sogni
solo il vento è ristato
un attimo a concrezioni
ormai resto
come di salmastro
od oltre, a mezza costa
di un nido che morte
le foglie dell'inverno ai rami appare



mercoledì 10 aprile 2013

irreversibili

irreversibili
il visto e il sentito

un fiore svanito
si vanifica la vita
a cercarsi ad un dipresso
d'acciottolìo risuona
il passo che più grave attende
a cura
di palliative primavere

ché s'alimenta, il giorno
di reversibili speranze

Ed in esergo il sogno
inappuntabile medaglia.

martedì 9 aprile 2013

e qui non piove

e qui non piove che tempo
mi dicono di pazzie minime
i quadrati che evito
con cautela da calpestìo
e le strisce che quasi
attraverso di sghembo
-tutta qui la pazzia?-
se a pozze m'ancoro e d'intorno
intorno appena è vuoto
salto
come i miei piedi
di scarpe vecchie e unite
in un abisso di due dita.

ma quando è piovere

ma quando è piovere m'incontro
e indifeso miro
più preciso a ogni filo
li attraverso
e il tempo, ogni tempo
ha un suo luogo
che disegna, lento
allora, quando labbra e fili
occhi e gocce
si incontrano
il sorriso è una pozza o una lacrima
enorme
come un occhio, o una bocca
solo
non trovo parole o sguardi
ma erbe attente e pollini nel vento

due palombe stamani, sul filo radente
ed io coi miei di fili al balcone
in un gioco di mani e di ali
in spiovente abbandono
come qualcosa di nuovo.

domani in premio

Non so nulla da fare; a volte mi scappano 'ste cose. Per fortuna sono tornate a prendermi non più di un minuto o due, troppo poco per interrompere il mio non sapere. Ma un giorno o l'altro mi deciderò a segnare una parola bellissima, una sola.
 
domani in premio
c'est le maximum
le strade ritratte
i viali contromano
buche
anfratti
e fatica un sorriso
scansarsi
come una mano
troppo a breve protratta
e falde, tasche, tese
palme di mani
coperti, gli occhi
e il gioco
forse eidomatico
insiste
come una persiana serrata
d'immagine rimane
di qua dalla palpebra fugace mente
s'invera
ma poi
rilascia come una deriva
o un premio mai ritirato
era solo un gioco
a perdere anche la promessa
che insistita chiamo 'domani'.

lunedì 8 aprile 2013

ma passa

(A dirla tutta, sono il primo al quale appuntare queste 'cose' reca fastidio.)


ma passa di tuo il tempo
e d'uomo
alla superficialità degli interstizi
e quelli che ostentavi
sbroccati a connessure di tessuti
sono solo epiteli,
e vedi, come
i piccoli tesori ricoperti
erano solo dorature

nascondevano rifugi alle paure

i presagi, lenti
sono fumo che si avvita
e i cammini
dimentichi si perdono
forse qui, proprio qui
dove ricorrevi a una sorgente
ora guarda
ne rimane un'orma
o nuova
una sindrome
un avvitarsi lemme.

solo ieri

solo ieri
guardavo in forze
e oggi
le mani sopra il tavolo

non s'hanno fioriture possibili
e gli occhi di formica
inseguono un disegno, di vene

ma ritrarsi così
come di nerofumo appena pianto
e le lacrime, anch'esse
appartate dagli occhi
a rimpiangersi

sboccano morsi, dallo stomaco
e l'ora è imprecisa
come un rabbocco di sopravvivenze.

scrivo sparse

scrivo sparse
parole ad argini
non bastano
ché sdrucciole
m'offendono per lanterne
e i moccoli
si spendono in cera
della mia stessa sera
o la tela è nel punto
dove il ragno preme
e più affondo si fa
quasi uso il dolore
o avvezzo
alla spoglia che declina
ma il margine che ricorre
si fa confine o quasi
rovescio di polsino

perché molto va a finire
e tutto non basta a rinverdire.

sabato 6 aprile 2013

sono steli lontani

Immagine presa dal web.
sono steli lontani
ne cautela un vento
d'origini marine
il gioco, fatto solingo
come di autectomia infantile

l'equiseto è distante
ricordo di bordure e linee
malferme a stento
tirate come di barca a riva
e senza scalmi

un fiore a vela mi regola di vento.


(l'equiseto è una pianticella comune, con la quale si giocava a staccare e riattaccare i 'segmenti': una specie di vivisezione, richiamata da quella autoectomia che in realtà riguarda certe lucertole; ovviamente non usavo, nel gioco, questo termine da poeti ricercati, 'equisèto', ma semplicemente 'caccemmìnta', cioè 'togli e metti'.)



mercoledì 3 aprile 2013

C'era una volta un re, c'era na vota nu rre...

C’èra na vòta nu rre, e po’ n’imperatòru: si chjamàva Custantìnu. Avìa na mùrra ‘e figghji e un sàcciu quànti nipùti. Nu bèddu mumèntu ha decìsu ca u règnu ci l’avìa de špàrtiri, e allùra sinn jìva de Ròma u màru màru, ppè bìdiri còmu potìa megghju cuminàrə...
C'era una volta un re, e poi un imperatore: si chiamava Costantino... 
 http://originicirotane.blogspot.it/2013/04/lisitania-in-cirotano.html

lunedì 1 aprile 2013

come la terra

come la terra d'ogni dove
sento vecchio il mio cuore
mi confonde, se annaspa
- o ma è solo,
come un sussurro
poi riprende
lento
come tutte le erbe che attendono
- o ma è solo,
una carezza
un fremito
o pure il vento che torna
a scompigliare pagine rivolte,
margherite spente.