martedì 11 giugno 2013

terza elementare

Sanno le notti d'ubbie
gradinare a panneggi
subbia gradina unghiello
resti d'impacci
e confinate carezze
segni che discendono
arrossa un rivolo
guarda
il cancello in ferro
deflagra nel ricordo
un pallone che si schianta
si potesse rabberciarne il cuoio!
come gli anni o i los alamos del lunedì
sera degli sceriffi

l'elettricista è ancora morto
dopo tant'anni
proprio dov'eravamo corsi a guardare
col grembiule e il muco
blu come una terza elementare
e il nastro tricolore
della foto, da sinistra accovacciati:
nomi no, svaniti
non li ricordo, desolato

aralìe sconfinate e occhi di fichi d'india
canne,
littorine in orgasmo sulla massicciata
rantola, su mischineddu
con i ramponi ancora ai piedi
del palo in legno
dove passava la luce
e solo per oggi, non richiesto
il lamento
in sua morte

oggi che il tempo classifica in ricordi gli sfregi

Santina viveva la sua terza elementare
bionda e minuta
tra lenoni e galline
pizzicava al cuore rischiare di sapere
faceva male
quel vecchio
l'unto
le coperte militari, i giacigli infami

a volte si ricompone
il quadro: Santina è salva
l'operaio si rialza
la littorina fischia
il tempo riparte
mi siedo e guardo
dentro i miei polpacci
dev'esserci un acido, dicono,
lattico:
che faccio?
22-1-2012

Forse il mio Sud, nella sua piccola vastità, rimane in parte a me oscuro; forse, molto similmente alla vita, non l'ho ben capito, o forse non sono riuscito, dell'uno e dell'altra, compiutamente a prendere possesso: peccato, potrei aggiungere, e poi domandarmi per chi o per che cosa, proprio come nell'analisi logica di un tempo, uno e basta, di tanti anni fa.
Quello sopra è un ricordo di ormai più di quarant'anni fa, la scuola erano due camere prese in affitto dal comune per ospitare -mi pare- un paio di classi, per noi che vivevamo lontano dal centro del paese; la scuola si trovava in un rione dove le dicerie di paese volevano che non si avvicinassero neanche i lupi, per paura degli abitanti...e pensare che ci andavo a scuola, in quella strada. Santina, purtroppo, non è inventata, non è la sola, e non sarà mai l'unica...ad avere una madre di quella fatta e di quella indigenza. Come sempre nella mia esistenza, davanti alla scuola, di là dalla strada sterrata, bordata di canne, correva - si fa per dire - la ferrovia, la mia eterna ferrovia sullo Jonio, con le sue automotrici a nafta - le littorine di ducesca memoria - che sembravano inseguire i pali della luce, sempre riuscendo sconfitte, nelle mie fantasie, da quei triplici, o più, fili sottesi ai pali di legno, da uno dei quali un brutto giorno si posò a terra un operaio, alla cui morte mai volli credere, ostinatamente imponendomi che fosse sempre e soltanto volato.
Ma i miei sono solo ricordi, nelle notti d'ubbie ometto gli sfregi, perché la memoria, in qualche modo si ricomponga, o perché non si faccia conoscere, come un invito sempre reiterato, tipico delle mie parti.
Ad ogni modo.
La storia della subbia, scalpello a punta, delle gradine, scalpello con dentini, degli unghielli, scalpelli per finitura, potevo risparmiarla ai miei tre -voglio esagerare- lettori: volevo dire tutt'altro, in effetti, con quell'inizio, ma quando butto giù qualcosa...non so mai dove vado a parare.
Ciao a tutti,
Cat.
Nota successiva: il post qui presentato faceva parte di 'Catablogario', il mio vecchio blog, poi dismesso insieme alla 'piattaforma' che lo ospitava, cioè Splinder. Il tono colloquiale è dovuto al fatto che all'epoca, non so perché, ricevevo molte visite e commenti; successivamente sono stato fatto oggetto -oggetto, non vittima - di un ferreo ostracismo, sul quale non ho nulla da ridire: sempre meglio che aderire ad una qualsiasi camarilla, per poetica - o sedicente tale - che sia.

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