lunedì 1 luglio 2013

Lettera per un poeta, ad un giornale...

A Lorenzo, nel 28 di maggio.

Sono 102 anni dalla Tua nascita, Lorenzo, e mi permetto di darTi del Tu, anche se sarebbe, per la nostra genìa, più normale un 'Voi', maiuscolo. Centodue anni, metà vissuti sulla linea tra la terra e il cielo, metà nell'altra parte, quella dove è forse dato solo alle anime di parlare, senza l'impaccio e gli intrichi dei corpi che le ospitarono.
Ho raccolto con fatica notizie sulla Vostra esistenza, oggi mi domando se ne sia valsa la pena, se veramente avessi bisogno di sapere di più dei vostri giorni, se sia inscindibile la vita dall'opera, essendo quest'ultima, pur così trascurata, ciò che rimane: la polpa, se mi passate il termine; a Voi, invece, il dolore della scorza, o forse il dolore del carapace che preme sulla viva pelle, sul dorso piagato.
Oggi che molti sanno di voi e cercano di interpretarvi...
Vorrei che riuscissero a capire e capirvi, o sarebbero del tutto inutili questi convegni...lo sapevate che dopo millenni dalla nascita della Magna Grecia anche in Calabria è arrivata l'università? E che oggi qualcuno vi studia, anche seriamente? Vi accostano ad altri poeti, uno addirittura alsaziano, non lo definiscono neanche francese, ma alsaziano, mi pare si chiami 'De Dadelsen', sì, Jean-Paul De Dadelsen, ma non so dirVi di più...li agita ancora quella voglia pruriginosa di ricercare accostamenti tra folli, visionari, personaggi strani...lasciamo stare, non voglio tediarVi con queste sciocchezze, solo dirvi che non molto è cambiato, per certa critica...Volevo pure dirVi che a Cosenza e a Palmi, dove custodiscono i Vostri quaderni, hanno organizzato e realizzato delle giornate di studio dai titoli interessantissimi- spero che lo siano state anche nei contenuti- con studiosi da molte università, italiane e straniere. C'era anche il giornalista e critico Giuseppe Tedeschi, Vi ricordate, vero? Uno dei pochi che ha saputo capirvi per tempo, insieme all'editore Roberto Lerici... lui purtroppo ci ha lasciati troppo presto. Anche Sinisgalli sarebbe contento per Voi, finalmente...che volete farci! (Veramente non so se lassù insieme ammiccate per l'ingenuità delle mie parole di sconosciuto, ma insomma...)
Vi conobbi negli anni settanta, ero un ragazzino, mio padre mi aveva trasmesso l'amore per tutto il buono e il bello della Calabria...fui contento quando riuscìi prima a mettere insieme 4.500 lire e poi a trovare quel libricino, edito dal napoletano Guida, 'Storia della letteratura calabrese', del professor Antonio Piromalli, dove per la prima volta incontrai il Vostro nome, unitamente a quello di altri ancora più o meno ignoti, Costabile, Pane, Florio, Strati...- andavo a memoria, perdonatemi-, e mi illudevo di poter smettere di cercarne altri, di calabresi, in quella specie di almanacchi che sono le note biografiche a chiusura delle antologie...Voi non c'eravate mai, ci trovavo Antonino Anile, Corrado Alvaro, Virgilio Lilli, qualche volta Leonida Rèpaci...Voi sempre tenuto da parte!
Ma ora ho raccolto la Vostra opera, quasi completa, ho passato ore e ore davanti a questa macchinetta luminosa che serve anche per scrivere... sapete, è una specie di macchina per scrivere, ma molto più veloce, sembra che per mezzo di essa si possa sapere quasi tutto di tutti, ma a noi- se mi passate il  pronome- questo interessa relativamente...a Voi bastavano le parole che avevate dentro per creare e ricreare, attraverso la poesia o il silenzio che la delimita, un linguaggio e altri linguaggi ancora che vi si potessero innestare, successivi.
Non so se riuscirò mai a leggere tutte le parole che ci avete lasciato, se vorrò farlo, ché leggo pochissimo, quasi nulla, o se mi distrarrò ad immaginare le parole mancanti, le non dette. Ieri e per la prima volta ho parlato di voi in famiglia, come se foste presente, l'ho fatto  forse perché i miei cari avessero modo di razionalizzare i miei silenzi, perché sapessero di cosa tacevo, quali mormorìi nascondessero i miei aggrottamenti di ciglia. Uno dei miei figli Vi ha paragonato a Don Chisciotte...gli ho detto che sulle prime anch'io avevo azzardato questo paragone, ma che non è proprio così, non precisamente: il cavaliere manchego è più legato alla terra rispetto a Voi, non Vi ci vedo armato contro un mulino, quali che ne siano le implicazioni, Voi al mulino avreste parlato, lo avreste accettato, amato, descritto, forse dimenticato...e la follia, lasciamo perdere questa diceria: Voi sapevate, e a volte questo comporta il disuso della ragione, non la sua dismissione. Detto di Voi, poi..che siete passato per Villa Nuccia, in anni in cui quella struttura era universalmente nota in Calabria, fino a entrare, portatrice di turbamento, nel linguaggio e nell'immaginazione quotidiani, detto di Voi che avete amato anche Villa Nuccia!
In tutti questi anni sono arrivato ad una conclusione, se esistono le conclusioni, se non è un paradosso anche la parola conclusione...ho sentito per voi parole di mia madre, troppe volte udite, quando descrive la fine di una persona degna, come semplicemente definiamo chi in vita ha meritato: 'è stat, è stat, pò è mort...', proprio così, così direi di Voi: è stato, è stato, finché è morto, che ai più sembrerà sciocco o lapalissiano, soprattutto se nel sangue non si portano il dramma e la tragedia dei greci; a quelli che invece sentono dentro di sé queste due componenti ho la presunzione di credere che quella frase, quella sigla a sigillo,  non necessiti di spiegazioni ulteriori.
Ora Vi chiedo solo di perdonare il mio ardire, per essermi in qualche modo troppo avvicinato a Voi: io non ho avuto il coraggio di accettare che la vita fosse solo poesia, fino all'annullamento di tutto il resto, non sono riuscito a non 'amare', ad accettare l'amore dell'amore, a non farmi delimitare da una professione, una ubicazione, una tempistica, ho rinunciato, sì, ma non dimentico: la poesia mi ha fatto paura, avrò sbagliato, avrò fatto bene, non saprei, ma c'è stato un tempo in cui tutto mi era intorno e nulla penetrava nei miei desideri che non fosse spirito...poi, lentamente, hanno vinto la carne, la carta straccia, la viltà dei giorni, la ragione comune, le ragioni che non mi spiego: tutti hanno vinto, anche la mia paura.
Mi rimangono, nel mio piccolo, alcune certezze, ed una siete Voi, dottor Lorenzo: grazie, auguri!
Cataldo Antonio Amoruso.
                                 Si confonde questo meraviglioso plenilunio.

Si confonde questo meraviglioso plenilunio.
Lo spazio concavo era
una meravigliosa uccelliera,
dove a un nido, ad un bacio ignorato
fluivano meravigliosi i fiumi,
di cui vedevamo la meraviglia da lungi 
nel nostro silenzio ch'era fame.
(da 'Ma questo', Lerici Editori) 28-5-12

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