martedì 23 luglio 2013

Poetica lectio ac faceta. (cosarella)

Quello che segue rappresenta un altissimo esempio della poetica che la critica moderna parapagalese definisce come ''poetica ex palo ad frascas'', anzi potrebbe eleggersi quale manifesto letterario della corrente medesima, quella che porta il nome di ''gruppo dei 220''; a tutt'oggi questa composizione ci sembra rimanere insuperata nel suo genere, alimentata com'è da una tensione continua, che non ammette sbalzi né cali, ma in cui si alternano solo picchi verso l'alto, verso una poetica di una nuova fase, paragonabile solo a quella del ''gruppo dei 380'', che tanta importanza sta avendo nella letteratura contemporanea del confinante Maradagal, altro paese di cui meniamo dolorosa cognizione per le lotte interminabili che hanno insanguinato quelle contrade, il Parapagal e il Maradagal, tanto vicini ai nostri cuori, che sempre agognarono un'uscita dal brutto pasticciaccio della guerra fra i due popoli affini.
da 'storia letteraria del cono sud' di carlos emìlio entrededos (trad. italiana di mena accasaccio, casa della farfantarìa editore, 2010)

Cosarella scritta stanotte che non potevo dormire*
tu non sai
come allora
di notte
dove arrivano gli occhi
ciglia lunghe
avvolgono i covi dei ricordi
sono piccole mani
nessuna poetica
sono lievi derive
tenui mancamenti
e forme che più non trattengo
sono incastri di mattoncini
colori di pastelli
e silenzi d'offese
sono canti rappresi
sono sono sono
essi sono
sì, essi sono
io non più
non vorrei, almeno
questo piccolo
credo.
*già dal titolo dovrebbero cogliersi le affinità con il leopardiano ''canto notturno di un pastore errante dell'Asia''; come noto, il conte, al monito ''pensaci, Giacomino'', ammise in tempi non sospetti, con ben due secoli di anticipo sugli eventi, questa sorta di sudditanza intellettuale nei confronti del nostro benemerito cittadino delle lettere parapagalesi, e anche maradagalesi; di questo rendiamo atto al poeta di Recanati (n.d.r.).

Bene, se qualcuno ha avuto il buoncuore (diciamo così) di leggere fin qui, avviso di quanto segue, ovvero delle ''posizioni che non consentono di dirsi poeti'':
1-ritenersi e dichiararsi tramiti di una parola divina che rende irresponsabili delle proprie operazioni inventive e linguistiche;
2-esprimere in forma inutilmente oscura e contorta sentimenti o idee già condivise dal consorzio civile e sociale di appartenenza;
3-illudersi di essere protagonisti d'una vita d'eccezione solo in quanto la si scrive;
4-liricizzare, eroicizzare, amplificare, valori e situazioni di quotidiana consuetudine;
5-travestire di abbellimenti un déjà vu;
6-non riuscire a definire una percezione assolutamente sincera del proprio sentire;
7-non attribuire nuovo impulso e nuova energia alla lingua nella quale si scrive;
8-mancare di progetto nella prospettiva ampia del macrotesto.
Tutte queste cose ho letto in un libro di cui sarà senz'altro vietata la riproduzione anche parziale eccetera; io non pensavo sinceramente che scribacchiare qualche rigo fosse cosa sì grave!
Che fare dunque? Far sparire tutti i miei scarabocchi, oppure controllare attentamente che non siano presenti posizioni ascrivibili all'elenco di cui sopra? O forse no, forse mi sbaglio... quelle posizioni impediscono di potersi dire ''poeti'', cosa che non mi sono mai sognato di dire, mentre io tutt'al più vorrei scrivere una poesia, magari piccola piccola, come quella con cui ho vinto un premio, virtuale, creato ad hoc da me stesso, ma sempre di premio si trattava... c'è uno solo che la ricorda?
Si intitolava ''UN ATTIMO'', e diceva così:
un attimo.
Poi finiva, ché mi sembrava abbastanza. Ciao.

Anzi no, torno per dire:
''Il lettore di poesia non esiste e bisogna che lo crei, istantaneamente, il poeta stesso. Ciò che produce nel lettore un recipiente atto a ricevere il contenuto possiamo chiamarlo forma, benché la forma sia il contenuto medesimo, ma con la capacità di esistere nel lettore. La forma crea il lettore, lo fa poeta. Il mio territorio è tutto l'ambito entro il quale io posso convertire in poeta il lettore. Finisce lì dove essi sono ormai immuni alla mia forma.'' (Pablo Antonio Cuadra, poeta nicaraguense).
Io intanto un pensiero piccolo piccolo, come le cose più grandi che riesco a concepire, ce l'ho, ed eccolo: ''il poeta è il significato, la poesia è il significante'', me l'ero appuntato su un quadernetto... purtroppo so cosa significa solo nella mia testa, non so spiegarlo bene: so che se non è come dico non sarà un problema sentirmi dire qualcosa del genere ''ma cosa dice questo qui?!''
''poeta'' è il vissuto, ''poesia'' è la forma; mi spiego meglio se dico che il dolore o il ricordo o comunque ciò che si trasmette sono a carico del primo? non so se mi spiego meglio, non so neanche se mi spiego; però capisco il momento in cui la poesia torna a farsi da parte e rimane la vita, quella che coincide con il poeta o l'artefice, col
suo* vuoto; ha senso quindi dire bella poesia? ha senso dire bel poeta?
le mie sono solo parole di un profano, ovviamente...
adesso sì 'ciao...'

Gorgogli e riferimenti da/a C.E. Gadda ''La cognizione del dolore'', A, Bertoni ''La poesia, Come si legge e come si scrive'', J.L. Borges-A. Bioy Casares, 'Cronicas de Bustos Domecq', C. A. Amoruso, ''Una cosarella scritta stanotte che non potevo dormire'' (ovvero le scemenze che ho scritto fino a questa parola: fine).
*: boh!!!

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