lunedì 28 ottobre 2013

Inizio, 1-3



Inizio, 1.
Non so cosa sono venuto a cercare, se qualcosa sono venuto a fare o cercare… E’ bastata la prima scusa, la prima ineccepibile motivazione che potesse sembrare una verità o qualcosa di simile… No, nulla di pruriginoso, nessuna ricerca di avventure o fughe verso sogni passeggeri. Volevo starmene da solo, per qualche giorno, senza troppe spiegazioni, volevo starmene da solo e non per pensare a me, ma piuttosto, forse, a ciò che mi circonda e alle persone con le quali condivido questo percorso che forse un po’ avventatamente indico come ‘vita’… tutto qui.
Ho sempre quel vizio o abitudine di vedermi dall’esterno… potrei nobilitare questa predisposizione definendola ‘imparzialità’ o ‘capacità di estraneazione’, ma so che non è così… più semplicemente credo si tratti di un vezzo infantile per il quale, come in un gioco delle parti, riesco a parlarmi e – meno di frequente – a rispondermi… Sì, mi ricordo di quel tempo in cui mi assegnavo ruoli e nomi, stabilendo comportamenti e istanze per personaggi che solo dentro di me esistevano… fantasmi, più o meno, ed ortonimi, eteronimi, come poi ho scoperto tanti anni dopo… nulla di più. Penso a quel poeta portoghese, sì, Pessoa, che si inventava dei personaggi… non ne avevo ancora sentito parlare di quel suo eteronimo che aveva fatto nascere a Tavira, in Algarve… non doveva amarlo molto, considerando che a Tavira ci sono stato, per caso, tanti tanti anni fa, e che non ho mai visto un altro posto così infestato dalle zanzare…
2
La casa dei miei è vuota, fredda e sa di chiuso, in questo autunno inoltrato… alle finestre non ci sono cortine, sono state tolte prima che la casa fosse chiusa, prima che i miei andassero via… c’è qualche panno senza pretese sui vecchi divani, devo toglierli, facendo attenzione alla polvere che li ha pervasi…
C’è un grande silenzio, quasi irreale, ma forse non potrebbe essere diversamente, a quest’ora di mattino e in questa zona isolata del paese. Si sente soprattutto il frusciare nei rami dell’araucaria… è cresciuta benissimo questa pianta… il palo del telefono quasi non si vede, se mi sposto appena appena riesco a non vederlo, nascosto dietro il fusto dell’albero, e se mi abbandono come in un gioco a spostare la visuale, il palo riappare ma sembra quasi un enorme tutore della pianta. Dicono che taglieranno l’araucaria, mi spiace molto, come mi è dispiaciuto per l’enorme pino marittimo della casa di fronte… dicono che non potevano farne a meno, che le radici stavano sollevando l’asfalto della strada, il che è vero, come è altrettanto vero che anche il piccolo muro di cinta si è prima deformato ed è poi crollato sotto la spinta del tronco… Non vorrei cominciare ad elencare tutte le assenze che vado cogliendo intorno a me… anche il vecchio lupo nero dei dirimpettai, quello che seguiva mio padre lemme lemme, non c’è più… mio padre non ci sapeva fare particolarmente con gli animali, solo con quel cane, con lui sì… mia madre dice che il cane ha pianto tutta la notte quando mio padre è morto, e che è passato a ‘spiare’, a guardare in casa, il giorno dei funerali… A certi animali dovrebbe essere concesso l’uso della parola, almeno in casi come questo. A certe persone, al contrario, quell’uso dovrebbe essere negato: non sono degni di partecipare, perlomeno a quelli degli altri.
3
Ripensando a quei miei personaggi infantili e all’Algarve so già cosa si sta impadronendo dei miei pensieri, proprio come quando ero bambino e vivevamo in un'altra casa, poco distante da questa, la mia sola casa, quella dove ho vissuto fino a vent’anni, la dimora di tutte le mie prime parole e di tutti i miei primi silenzi, dove ho imparato ad amare e ad allontanare le nostalgie, tutte, e dove ho conosciuto, copioso, ripetuto, il pianto…e dove quel pianto ho temuto e infine deciso di contrastare. Volevo diventare forte, ma non so se ci sono riuscito, né se forte lo sono mai stato… più che forte sono diventato abile nell’evitare talune situazioni, o chissà, vallo poi a sapere se sono diventato qualcosa.
Quello che si sta impadronendo di me è la paura. La conosco bene… la conosco troppo. E’ la paura della morte, come in ‘Pedro Pàramo’… sempre con queste storie, questi libri.. non mi bastavano i fantasmi indigeni, ci mancavano solo quelli d’oltreoceano.
Sì, ho paura, è una delle mie fortune, o peculiarità, e ormai non ci rinuncio più…
I miei personaggi infantili, tutti dai nomi più gentili del mio, li conoscevano bene quei fantasmi… erano di famiglia, almeno tra di loro… ed ogni volta che ne creavo uno nuovo, di personaggio, un altro fantasma gli si accompagnava, ineliminabile.
Quando abitavo in quella casa, un casello delle ferrovie oggi diruto, non parlavamo mai di quello che vi era successo agli inquilini che ci avevano preceduto. Aleggiavano storie che nessuno aveva il coraggio di esplicitare, soprattutto con me, che ero il più piccolo ed influenzabile. Notavo, senza nulla domandare, che le mie sorelle non andavano mai in bagno da sole, che già all’imbrunire diventavano timorose, sospettose, che quando infine arrivava la notte dormivano strette l’una all’altra, ed anch’io… io stringevo gli occhi e carezzavo il santino dell’angelo custode fino a quando crollavo per il sonno, imponendomi di pensare a qualcosa di bello… anche se il bello, all’epoca, non sapevo proprio dove cercarlo… il buono sì, il buono era mia madre che mi accoglieva nel suo letto e che mi asciugava il sudore e le paure.
Ho sempre pensato che il ragazzo morto nel casello seguisse dei percorsi precisi, durante la notte, e che camminasse scalzo, forse per questo si era ammalato ed era morto in quelle stanze fredde… e noi cercavamo in tutti i modi di non interferire con lui… Ma forse ci sbagliavamo, magari voleva solo giocare con noi che avevamo più o meno la sua stessa età di quando era vivo, e quei rumori di catene, poi cessati con gli anni, non erano altro che il suo richiamo… E’ chiaro che anche i morti invecchiano, anche se i loro fantasmi non fanno meno presa.