giovedì 16 gennaio 2014

Pigmalione e Galatea.

dormi, e che non passi la dea
a svegliarti
sogno mani
bianche senza appigli
e solo spazi
lievi
infinitesimi
tra superfici a levigare
e pelle, dove ti sento
respirare
io solo,
re, scultore, nano

tu dormi, come da sempre
e il tuo nome ha il colore della pelle:
sei nella notte e velo
i tuoi occhi
assenti

dormi, fino alla fine dei sogni
quando la grazia si farà condanna e posa
il tuo velo sulle mie mani
lento
dove ricomincia il giorno:
ché non passi la dea a svegliarti
prima che tu sia mia sposa.


Ho riletto - forse rivisto, immaginandola - la storia di Pigmalione, con un pizzico del bianco di Galatea. 
A seconda delle leggende, Pigmalione fu un re cretese, si innamorò di una statua di Afrodite e pregò, esaudito, la dea affinché rendesse vivo quel simulacro, oppure fu uno scultore innamorato di una sua creazione al punto da invocarne la possibilità di amarla. Questo è il mito classico; affine ma non sovrapponibile ad esso è quello che deriva dall'opera omonima di G. B. Shaw, molto più noto di quanto si pensi, anche a livello inconscio, onirico o di desiderio. Da qui nasce il nome di effetto Pigmalione o Rosenthal, che questo psicologo scelse per indicare quello che personalmente leggo come una specie di 'sono come tu mi vuoi'.
Credo che la poesia abbia un senso solo in quanto partecipata, intima, lirica. Diversamente mi suona come enunciazione, invenzione, manipolazione, uso più o meno sapiente di metri e ritmi, parole.
Di conseguenza mi domando se potevo quindi parlare di Galatea e Pigmalione, che neanche nel mito si conoscevano. Forse sì; di più: credo che tutti potremmo parlarne (e questo è l'effetto Rosenthal: credere che chiunque sia in grado di fare cose che in realtà potrebbe non fare mai - quale ne sia il motivo - se solo ci fosse un Pigmalione a plasmarlo).
Credo di essermi confuso, oppure di non aver detto tutto.


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