lunedì 8 settembre 2014

Lettera a mia madre, Lìttira ara mamma.

    Sì, torno per qualche giorno, te lo dico per interposta persona, ché tu ormai non hai più nemmeno voglia di parlare, dici solo che ti basterebbe morire sazia, forse perché vorresti così sconfiggere quella fame, generale e atavica, che ti richiedeva e imponeva l’uso di artigli che non hai mai posseduto. Se mai hai inflitto dei graffi, sono stati sempre generici, e improntati ad un senso di sbandamento… te li ha suggeriti la tua vita in un tempo difficile, di cui saresti dovuta venire a capo coi tuoi semplici mezzi di donna sperduta nelle tue origini dolorose di orfana giovane e di facente funzioni da madre. Troppo per te, come per tante altre giovani del tuo tempo.

    Spesso, guardando come ora dal finestrino, vedendo scorrere questa pianura verde tra Toscana e Lazio mi viene in mente quella volta che, osservando un cimitero belga nel suo ordinato lindore, dicesti che lì saresti voluta stare per sempre, che in quella pace la morte non ti avrebbe fatto quasi paura... ma forse ti riferivi all'eternità, è quella che fa paura...

    L'ultima volta che ti ho vista volevo fotografare le tue mani, qualche giorno fa, ma non te l’ho detto né chiesto… come sempre non mi avresti detto di no, ma eri così intenta a cercare non so cosa, forse dentro la memoria vacillante, forse nelle facce degli assenti, che ho rinunciato. Avresti riso senza capire, probabilmente, magari avresti ricordato quel tempo in cui mi lasciavo andare a farti degli scherzi a volte fuori luogo, che pure mostravi o fingevi di apprezzare, non saprei dirti.
   Ho ripreso questo cammino inframmezzato da cambi di treni e di pullman, di stazioni troppo affollate o troppo vuote… lo stesso cammino, comunque troppo lungo, quale che sia la strada che scelgo: non cambia nulla, posso solo illudermi di arrivare prima o di viaggiare meglio, di leggere, di dedicarmi a qualche facile o felice intersezione di numeri o di parole… non cambia nulla, la strada e la sorte sono segnate. Ho ripreso il cammino a te dovuto, come dovuto lo era anche a papà… fino a quando lui ha deciso di andarsene. So che è quello che hai deciso di fare anche tu. E lo farai, me lo ripeto senza ombre di dubbi e senza speranze che qualcosa cambi.
    In fondo me lo dicevi anche tu, in silenzio, quando di sottecchi, a tavola, mi domandavi ricorrendo ad una intesa ormai antica ‘ma questi cosa vogliono?’, insistendo perché ti versassi ancora un po’ di vino e gassosa.
    Ho rivisto in un flashback la perizia con cui i portantini sollevarono il corpo di papà per portarlo nella stanza dove avrebbero poi sistemato la bara, i ceri, le sedie… Forse sarà così anche per te, tutto così rapido, quasi semplice…
    Più a lungo vivrai, più criticheranno questi miei viaggi… spero che saranno numerosi, e di poterti strappare qualche risata, anche un po’ sguaiata può andar bene… dovresti avere ormai diritto anche tu a quegli sconti sui comportamenti che altri, per pura e semplice vegliardia hanno avuto, pur senza meriti particolari, solo perché gli altri, quegli attori più giovani a contorno, hanno capito e deciso che fosse giusto così… a te questo non è stato mai riconosciuto, ed è un torto gravissimo al quale anch’io, talvolta, nelle mie brevi ire, non mi sono sottratto.
    Devo dirti altro? Stasera arrivo, non sforzarti, mi abbasso io a baciarti, ed è il meno che possa fare… conserva le tue brevi forze che ormai stanno in meno di un palmo di mano… falle bastare ancora un po’, per i prossimi viaggi e per il loro esecutore… diranno che tutto questo non ha senso, perdere tanto tempo per 'una' di quasi novant’anni ((“li c’è sperzatu u sensu”, dissero per papà…), 'una' dicono, sottintendendo 'una cosa', dimenticando che dovrebbero parlare di una persona, e prima ancora di una donna, di una madre…
    E allora stasera arrivo, e ti tengo tra le braccia, fossi tu anche quello che non sei mai stata: una cosa di novant’anni.
    Poi, molto probabilmente, non verrò più qui, i viaggi me li porterò dentro, in quel luogo senza marmi dove c’è posto per tutti i volti, i gesti, i ricordi, i veleni, le rabbie, e tempo, spero, per quel lavorìo paziente che ingentilisce taluni sentimenti ed atti e ed altri ne sgrava di virulenze e offese. Ma di questo non devi sapere, devi vedermi solo come il figlio che torna per te, con le solite domande e le risposte di sempre, anche sbagliate o disattese.

    Un bacio.

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