venerdì 27 marzo 2015

Arbitrii.

Di questa pagina ritrovata non ricordavo nulla, tranne il titolo. A fatica mi rendo conto di averla non dico scritta, ma graffiata io da qualche parte... che poi, 'io' mi sembra pure eccessivo.

attarda
ché giandarono
le nuvole
come un raspare di migaglia
un cielo d'arature
a specchio di solchi
e falcetto ripiegato
in cintola
nostra signora insiste
tra pollice e indice cadenti
scelte tra dire o essere

ma il luogo
una lontanaglia di vissenze

era un distico, staccato
od occorrenze, uno statistico tra assenze. 

Una delle caratteristiche salienti delle lingue è l'uso arbitrario delle stesse, da contemperarsi con la loro funzione sociale, sempre che non si voglia passare per pazzi. Davanti alle parole si può essere magnificamente soli o accompagnati.
Improvvisamente capì che i significati si erano ribellati alle sue intenzioni: non corrispondendogli più, sentiva che lo stavano trascinando altrove, benché l'aspetto esteriore del suo dire permanesse immutato.
Dentro di sé intese che la parola 'gatto' non indicava 'mammifero a quattro zampe, di differenti taglie e colori del pelo, felino...', ma qualcos'altro: al più presto avrebbe dovuto trovare il modo di ottenere nuove corrispondenze, funzionali e finalizzabili... al più presto. Intanto l'unica via d'uscita poteva essere una  pausa di riflessione, certamente raggiungibile. Oppure godersi quel deragliamento dei significati, chiamare semaforo un cane o sole un piatto, cancello un'automobile, signora una chiesa... E se poi si trova un nuovo accordo, o un altro, semplicissimo folle, in grado di riordinare, recependo e demodulando quella che stava per diventare una accozzaglia di suoni assolutamente arbitrari?
Impazzire non è il male assoluto, forse è un contrattempo inaccettabile, o insormontabile, chissà... Ma una pazzia deludente a tal punto, questo no!
Tornò sui suoi passi. Decise di spiegarsi, prima di spararsi in camera da letto. (Vorrei fargli notare che forse è più logico -ma parlare di logica sarebbe come parlare di corda in casa dell'impiccato - prima spararsi* e poi spiegarsi; ma visto che i significati sono così arbitrari, me ne guarderò bene dal farlo, n.d.r.)
Ricorrendo ad uno dei significati di spiegarsi, disse:
attarda... intransitivo, ma indica qualcosa di piovigginoso sul far della sera;
ché giandarono... si suppone una voce del verbo giandare, passato remoto, crasi avverbio-verbale, ellittica del soggetto; il verbo, secondo le grammatiche in via di sistemazione, è usato in senso assoluto, e non regge neanche uno straccio di complemento;
un raspare di migaglia... dove il nostro fonde una inguardabile visione di briciole (compresenze lombardo-ispaniche con un retrogusto francofoneggiante) disperse in cielo, raspate, come la raspadura, maniera di comedere il queso dalle parti di Laudes e dintorni;
un cielo d'arature... è il risultato delle strie lasciate sulla tavola celeste dalla raccolta delle briciole che segue al pasto; verrebbe da tirar via la tovaglia e non parlarne più;
a specchio di solchi... passaggio controverso, sul quale molti critici hanno a lungo discettatto: si potrebbe dire, con il profèssor **** della **** University, che qui il nostro offre come contraltare delle arature di cielo - seu cielo d'arature - i solchi terreni che in quelli celesti si specchiano, quindi:
e falcetto ripiegato in cintola... potrebbe essere la visione di una delle signore mietitrici di umani destini, una Lachesi, Atropo, Tisifone, Aletto (a scelta), in breve e pensosa sosta...
cadenti scelte... enjambement che dovrebbe riferirsi alle vittime strette tra indice e pollice della suddetta signora;
tra dire ed essere... condizione peggiore che tradire e fare, o tradire ed essere, o forse no, e ma anche;
ma il luogo... dove piazzare questi pensieri che nascondono una lontanaglia di vissenze... una squalificata lontananza fatta di visioni ed essenze, o assenze: dipende;
ma quelli sopra erano solo due righi a se stanti, quindi simili a
un distico staccato
oppure erano solo occorrenze, un computo (statistico) di presenze per esclusione tra assenze di segni grafici (parole è un po' troppo) che parlano di se stesse... metaversi. Metaversi? Ma no...

*Un esempio di sparamento: il fatto che il prete si è sparato nella sagrestia non è punto cruento, in quanto significa semplicemente che il prete si è sgravato dei paramenti, senza allontanarsi dalla grazia del Divino

mercoledì 25 marzo 2015

ogni filo è caduto

ogni filo è caduto
nei luoghi precisi di addii
si colorano di risalite
le strie che inseguo verso il cielo
dove erano le tue mani
ora posano gli occhi
e cercano tra i ricordi
vuotano cassetti
riempiono stanze
come vasi che disperatamente
anelano a comunicare
ora c'è uno spazio d'ombra
tra te e la sera
e un viavai di domande
senza risposte e risalgo
uno ad uno
questi fili di pioggia
che in aumento mi interseca
non avrò altra madre
che questa tua natura
così dolce
di te che a volte
mi avvolge
ora che è mio
il nero segreto del tuo scialle
e come un tempo chiamato allora
con le mani sugli occhi
gioco con te
con fisime e paure
cercando luci scandite tra gli orditi
ma sono solo fori,
e falle che feriscono
negli occhi stanchi di tanta trama.

lunedì 23 marzo 2015

L'amore tamarro.

Parlo dell’amore degli ultimi o quasi della terra, quello delle formiche a due zampe, degli ignorati per censo e per cultura, degli ‘špaturnati’, degli ‘špioggiati’, degli ‘sbenturati’, parlo dell’amore dei non considerati e degli sconsiderati, parlo di amori nati senza un perché, e dei perché nati senza amore. Parlo dell’amore che si arrende al desiderio e alla furia animale, parlo dell’amore dei poveri che sanno solo amare e che trovano il modo e la forza - essi, pur nullatenenti – di scavarsi dentro e dare: parlo di un amore che ha cambiato modi, ma dentro è rimasto intatto, e non cambia volto. Parlo di qualcosa che si disconosce e di cui forse ci si vergogna: di amare in cambio di nulla, anche contro se stessi. Parlo di amori e tempi che faranno sorridere e storcere il naso. Parlo di niente…

Parru
D’amùr ‘e d’ati tempi
Amur di càvizi curti ppè Santu Catàuru[1]
Amur di šcammiciàti a fiori
Amuri d’arrèt ari finestri
Amuri nti fràvichi[2]
Amuri nti vigni
Amur ca nescia darret’ a na sipala
Amur rašcatu nti serchj d’a rastucciata
Amur sutta i peri d’i fichi
Amuru subba a vešpetta russu focu[3]
Amuru fujènnu ccur a forèdda ‘e fora[4]
Amuru cocentu
Amuru nzanguinatu
Amuru gramigna
Amuru festuca[5]
Amuru pàpula[6]
Amur ara vita, ara vita[7]
Ccu na mana ca špitigna
E n’ata ca vinnìma[8]
Amuru pacciu
Amuru tamarru
Amuru aru ventu
Amuru ‘e orduru ca juscia subbaventu
Amuru ca vruscia
Amuru c’un z’astuta
Amuru ca vula
Amur a morta[9]
Com na nimiciža[10], na pàcia, na paccìa
Amuru natu stortu
Com n’anima c’un pìja riggettu
Com na nervagìa[11] c’un zi cumporta
Amur e sul
Amur e bentu
Amur e acqua
Amur e tu
Muru e cimentu.

Traduzione.

Parlo
D’amore d’altri tempi
Amore di pantaloni corti per San Cataldo
Amore di vesti smanicate a fiori
Amori da dietro le finestre
Amori nelle ossature delle case
Amori nelle vigne
Amore che esce da dietro una siepe
Amore graffiato nelle stoppie crepate
Amore sotto gli alberi di fichi
Amore sulla vespetta rosso fuoco
Amore con la camicia che svolazza fuori
Amore cocente
Amore insanguinato
Amore gramigna
Amore fastùca
Amore pàpula
Amore assiduo come la cura delle viti
Con una mano che libera i tralci
E un’altra che coglie l’uva
Amore pazzo
Amore povero e di rozze maniere
Amore nel vento
Amore di odore che soffia sopravento
Amore che brucia
Amore che non si spegne
Amore che vola
Amore a morte
Come una inimicizia, come una pace, come una pazzia
Amore nato storto
Come un’anima senza tregua
Come una nevralgia che non si sopporta
Amore e sole
Amore e vento
Amore e acqua
Amore e tu
Muro e cemento.







[1] Per San Cataldo, che ricorre il 10 maggio, era consuetudine che bambini e ragazzi smettessero i pantaloni lunghi per quelli corti.
[2] ‘Fràvica’, letteralmente ‘fabbrica’, è la casa in costruzione, spesso la casa perennemente in costruzione, magari costituita da ‘pilastri e soletta’, i cui lavori progredivano o si arrestavano in misura direttamente proporzionale alla consistenza delle rimesse degli emigrati.
[3] ‘A vešpetta’ è la Vespa 50 della Piaggio, una meta da raggiungere, negli anni ’60; il ‘rosso fuoco’ è  visto, anche, come sinonimo di follia, di ‘tamaraggine’…
[4] ‘A foredda ‘e fora’ è il lembo di camicia che fuoriesce dalla parte posteriore dei pantaloni, ancora di più con la velocità della vespa…
[5] La festuca è un’erba filiforme, molto diffusa. Il nome è perfettamente latino e italiano.
[6] Pàpula, altro nome italiano e latino, indica la bolla di ‘acqua lùcia o lùcida’ che spesso si forma, ad esempio, per l’uso di attrezzi agricoli, soprattutto per mani che a tali usi sono poco avvezze.
[7] ‘Ara vita ara vita’, in realtà è un modo molto preciso di zappettare, ripulendo il terreno intorno alle piante. Quella virgola al mezzo vuole essere un riferimento alla omofonia ‘alla vite, alla vite’ con ‘alla vita, alla vita’.
[8] Špitignare e vinnimare sono lavori agricoli ben noti.
[9] Si può essere ‘nimìci a morta’, nemici fino alla morte… o ‘amare a morta’.
[10] Nimiciža, con la ‘z’ sonora o dolce.
[11] Nevralgia, comunemente inteso come mal di denti insopportabile, in questo caso.

mercoledì 18 marzo 2015

poesia d'essere

poesia d'essere
lo spazio onusto
tra gli occhi chini
e le dita volanti
poesia d'esseri
nello spazio di paure
tra un graffio e l'altro
di grotte e mondi
dove comincia Orfeo
poesia di versi
stesi al sole degli avi
trafitti da aguzzi canneti dell'Egeo
poesie avide di un senso
che le leghi a un rigo di finali
solido, che osino diventare
parole d'uomini e staccare
la presa dal fondale
ed essere
poesia come un mortale
desiderio di parlare
poesia che già ricerca il fondo
nel mare ai piedi di annegati e onde.

domenica 8 marzo 2015

Le spalle delle donne

Le spalle delle donne
A parlare
Quando le strade si volgono
E tornano 
Rapidi, i pensieri

Le spalle delle donne abbandonano stazioni
E fermate fredde nella sera
Prendono il mondo per mano
E si chinano sul da farsi

Hanno nocche dolenti, le donne
E palpebre ispessite
Di tante attenzioni
E stanchezze
E labbra che misurano i tempi
Sono il porto dispendioso di attenzioni
Poi si tacciono, quando la notte preme

E ammantano, le donne
Come di sera trapungono
Le volte ancorate in fondo al cielo.

Bisogna viaggiare coi loro occhi per sapere
Quanto dista quel cielo
Quanto costa sapere
Cosa scende dall’ombra
In una donna a sera…
                                                  *****************************************
Questa notte avevo scritto un mio augurio alle donne, che poi ho cancellato, perché l'argomento, se di questo si tratta, mi aveva preso la mano e mi ero lasciato andare ad un uso un po' scriteriato o sopra le righe delle parole. In pratica, auguri con male parole, rivolte non contro le donne, ma contro me stesso, soprattutto contro me stesso, e ciò che mio malgrado rappresento, non potendo considerarmi esente da colpe, dovute ad ignavia, disinteresse, assenza.
Trasformare una ricorrenza in una festa si chiama marketing, questo lo premetto senza giri di parole. Alle donne auguravo di non aver bisogno di auguri in quanto donne, per il resto ogni augurio va bene, sperando che siano efficaci, oltre che troppo e troppo spesso gratuiti.
Nel mio deliquio notturno mi domandavo cosa proverà una donna nel conoscere la possibilità di vivere la libertà e dover invece temere per la propria incolumità appena si avvicina la sera, oppure nell'attraversare un parcheggio vuoto, o nel percorrere un marciapiede popolato da presenze minacciose, vivendo con il cuore in gola lo spazio che la separa dalla porta di casa o col battito a mille nel sentire alle spalle il rumore di passi altrui... 
Cosa si può augurare ad una donna in questa ricorrenza? Tutto e nulla, forse è la risposta più ordinaria che posso dare a me, che bene o male i problemi, inammissibili, di cui sopra non ho dovuto vivere, se non in maniera molto relativa. 
Non ci siamo, non è tempo di mimose. E' tempo di smetterla con le differenze, con i preconcetti, con le misure ritagliate addosso, a tutti gli esseri umani, di qualsiasi genere, ma soprattutto verso chi risulta essere più indifeso. E' agli appartenenti a questa 'categoria' (mi scuso per il termine) che auguro tanta forza, anche di perdonare quelli come me che in fondo più che parlare non fanno nulla perché le cose migliorino.

Tanti auguri, quindi, per quanto inutili, di cuore, ché non si sa mai, alle volte dovessero funzionare...

tutti poeti, forse

tutti poeti, forse
finché dalla morte non ci separi
la poesia malata di essere
ed entro i suoi confini ci riportino
i chicchi di grano arato troppo in fretta
sono grave orride di richiami
aperte nella terra lacera
di mani a strappare
erbe che tagliano dai bordi
pericolosi d'assenze
i pensieri scendono
e le erte rimangono
a stagliarsi contro i cieli
neri di contraltare
e passano
domande, richieste, annunci
come una bava che caracollando
insidia viscido il cammino

puntini sospensivi:
tre, canonici.