mercoledì 21 ottobre 2015

inseguire a ritroso fin dove nasce il vento

inseguire a ritroso fin dove nasce il vento
e custodire in palmo di mano il fuoco tremulo della vita
nella notte che dentro di te dorme
illuminare gli angoli
e far luce sulle paure remote che ti costringono ad un letto
parlo all'infinito
in questo luogo attento di cautele
dove gli aghi sterili rubano la scena agli aghi fragili dei pini
you'll never walk alone ti ho detto
non sarai mai solo
mai,
mi ripeto,
per sorprenderti e sorprendermi
che tu non conoscessi questo urlo
you'll never walk alone,
è un mio diritto, angelo mio
il diritto di ogni padre
 E non saperti, 
in  ogni istante,
questa è la solitudine che non accetto.


''You'll never walk alone'' è il motto dei tifosi del Liverpool; Matteo, stranamente, non lo conosceva, o non gli sovveniva.

Ungaretti

tutta notte in veglia
ho fallato
tra le fila del male
voi due dormivate
ora è luce
diffusa
di qua, oltre i vetri
la domanda ancorata
ritorna
di che male voi siete,
fratelli?

lunedì 19 ottobre 2015

I cani bagnati odorano di tristezza...

Giornata 120, pioviggina. Matteo e Simona, per la seconda volta compagni di stanza, guardano la pioggia dalla finestra sigillata e parlano degli odori della pioggia, degli odori che amano, degli odori che vorrebbero tornare a sentire. Li guardo guardare e cerco di salire sui loro sguardi, per viaggiare tra i fili di pioggia che uniscono il cielo e la terra. I fili di pioggia si sono fissati, cielo e terra sono fermi, sento il respiro che posa sui vetri, proviene da quella pioggia, e cerca le anime di questi ragazzi. Mi sento vecchio, clandestino, ma forte, non posso non essere forte. Per la seconda volta gli si è staccato il cvc durante la notte. Qualche minuto di abbattimento, e già il leoncino non ci pensa più, affronterà anche questa, passerà anche questa. Matteo non credo che stia guardando fuori, ma oltre, è lì che deve puntare, mentre lo sento che parla degli odori della pioggia, delle strade bagnate, dell'erba, di tanto altro che è precluso da porte e finestre di questo ospedale. Sento che dice che i cani no, che i cani bagnati non gli piacciono. Dice che i cani bagnati odorano di tristezza. Come dargli torto? Anche i poeti qualche volta hanno ragione. Certe volte, come Matteo, che non finge mai, ne hanno da vendere...
(immagine dal web)
i cani bagnati odorano di tristezza
i cani bagnati camminano ai margini delle strade
i cani bagnati hanno credo una triste certezza
seguire a distanza una linea sincopata
che impedisce alla vista l'altro lato della strada
e grande una speranza
di pendere d'incanto da una mano amica
che cammini a fianco...

sabato 17 ottobre 2015

a fianco, nuvole sempre più azzurre

Forse dovrei correggere queste cose che scrivo troppo in fretta, senza filtro alcuno, così, giusto per vizio, abitudine o malaffare (?). Ha ancora senso essere 'naif', originali, 'automatici'? Non so rispondere, ma non ho altro modo di annotare cose, se non astenermi dal farlo, soluzione non deprecabile. Raramente, qualcuno mi ha manifestato apprezzamento per queste impronte che vado dimenticando in giro... fa piacere anziché no, certo, ma non è quello che cerco. Vorrei trovare un senso per queste cose che non considero 'scrivere', 'scrittura', vorrei capire perché ho cominciato a segnare carte e a volte muri, pareti comunque, con questi miei 'segni'. Certo, da bambino, poiché da allora ho cominciato, mi attraeva l'idea, e l'ideale, del poeta, un po' pazzo, un po' maledetto, il sogno di un accenno di libertà realizzabile forse solo grazie ai tentativi di avvitamenti 'pindarici', un modo forse come un altro per sfuggire alle paure dell'infanzia, ai torpori, ai lunghi sonni, alle giornate fatte di distanze siderali dalla vita e dalle sue realizzazioni. Forse prendere in mano carta e penna  è stata una lusinga come un'altra, magari meno pericolosa o rischiosa, sogni leonini affidati alla carta, chissà. A distanza di quasi cinquant'anni continuo a non capire. Non è una cosa seria, forse. Magari è la fatica a non piacermi, il 'labor limae', vai a sapere. Nemmeno in questo tempo di pubblicazioni da pochi euro, e da meno di mezza lira, mi viene in mente di raccogliere tutto questo frascame che ho appuntato in giro... è più forte di me. Io non capisco nemmeno me, tutto qui, e allora, di nascosto, senza freni e con la massima rapidità possibile, rilascio questi scarabocchi, o graffiti di dentro, quando la mia anima, fine o trogloditica non importa, non può più farne a meno. E' la verità, e non so mai cosa comporta, questa meraviglia di nuvole che non so dire.

a fianco, nuvole sempre più azzurre
e belle, da inseguire
nel loro moto di zucchero filante
è poi un attimo
se tutto smette intorno ad uno stecco
e non rimane che lo sguardo piccolo degli astanti
gli occhi affissi al cielo
una mano che si leva
l'altra che porge il tesoro di una moneta,
la fiera della vita
le spalle alte a digradare
e al di là, il banco dell'imbonitore...
càpita, il ricordo delle dita
impresse nel vello dello zucchero
di qua dal cielo
e assaporare
amaro
un tempo che già si svincolava
poi la festa improvvisa si rastrema
e verso l'alto è perso
il volo della palombella
come un anelito
una puntura di stelle...

giovedì 15 ottobre 2015

John Montague, la trota

Domani Matteo torna in ospedale, la breve licenza è finita; da domani di nuovo piantane, prelievi, terapia, fili di lana minacciati... rovistando nel pc ho ritrovato questa scansione di una poesia annotata chissà dove, chissà quando, da quale libro e su quale non saprei dire. Deve essere successo molti anni fa, in una delle mie rare concessioni alla lettura di poesie. Non ne leggo, infatti, per quella mia preadolescenziale decisione di non leggere versi per non rimanerne condizionato. Fisime, nulla più, alle quali sono rimasto però fedele. Ho riletto questo 'la trota', per due volte, e vi ritrovo qualche motivo della mia strana giovinezza, di quando forse avevo paura di diventare, intanto che essere mi fuorviava. Il tempo, bontà sua, è passato, e di lui, insieme a lui, vorrei avere ragione. Ma sono sempre il solito, dico 'ragione', e nelle mie ambiguità, lessicali e di tempi, mi perdo e mi gioco: qualcosa, sempre.
Fine della licenza, domani.

Lasciarsi cadere il tempo

Lasciarsi cadere il tempo
con malizia dell'attaccante
addosso
doppiando
gli strattoni dei nugoli d'avversari
e sfiorando il suolo sentire
la rarità dell'attimo
ormai prossimo all'impatto
Poi con dolcezza ascendere
e a foglia morta infine
posare
il pallone nel sette
come una antica punizione
sapendo di quel mestiere eterno,
la solitudine del portiere.
14.10.2015

'Punizioni a foglia morta', le calciava, magistralmente, Mariolino Corso: il pallone superava la barriera e poi improvvisamente, come svuotandosi, si posava nel 'sette' (l'incrocio dei pali), alle spalle del portiere, 'incolpevole' fino a quando il cronista non decideva che avrebbe potuto fare di più per non essere trafitto.
Metaforicamente, o forse no, allusivamente.


lunedì 5 ottobre 2015

Io, Matteo Amoruso, nato il 5-2-98, giusto?

Non c'ero arrivato, e ammetto che non ci sarei forse mai arrivato. A volte vedere le cose da dentro non aiuta, o, peggio, fuorvia. Matteo scrive le sue riflessioni sulla malattia, le scrive con la forza lucida dei suoi 17 anni, e scrive cose che potevo solo immaginare. Non mi perdo in complimenti, ai miei figli non ne faccio mai o quasi. Spesso, scrivendo, si rivolge ad un immaginario "Lettore": " tu, lettore..." Questo a me non quadrava, non piaceva, gliel'ho più o meno detto... Mi sembrava eccessivo, dopo tutto lui non scrive per pubblicare. Non capivo, forse in quanto parte coinvolta, per così dire. A Francesco invece quel "tu lettore" piace. Qualche giorno fa Matteo mi ha domandato se sapessi chi fosse quel "lettore"... Quel lettore è lui prima di ammalarsi, facciamo fino alle otto della sera del 19 giugno... Glielo ha detto un certo Franco, il regista della compagnia amatoriale con la quale Matteo ha cominciato a recitare. Io non lo avevo capito, non c'ero arrivato. Come ci sono rimasto? Bene, e male, ovviamente. Brave queste signore, lo hanno lasciato dormire, il letto glielo rifanno più tardi. Piccole accortezze che si possono solo apprezzare. Questo l'ho capito. 
Sono 109 giorni, lo guardo ma se ne accorge, lo guardo e farfuglio qualche risposta alle sue domande. Perché vorrei domandare io a lui cosa ci facciamo in questo ospedale, con il suo letto a casa, vuoto...
La domanda con la quale Matteo inizia questo pezzo che ho scelto a caso è quella che il personale dell'ospedale deve formulare, comprensiva anche del luogo di nascita, prima di iniettare le dosi di chemioterapici. E previa firma di entrambi i genitori, in caso di minore età... Così è.
IO
"Matteo Amoruso, nato il 5- 2 -98 giusto?"
Me lo ha detto Corrado oggi, mentre mi faceva la trasfusione di sangue.
Matteo Amoruso, nato il 5- 2 -98 sembra una definizione valida.
Matteo Amoruso, reparto ematologia, stanza 3 lo sembra altrettanto.
Io sono ciò che prima non ero, mai sarò di nuovo. Non preoccupatevi, non ho subito traumi, sono solo cambiato, del resto non lo sei neanche tu, Lettore, ciò che eri prima di ciò che hai passato. Panta rei, come diceva Eràclito (o Eraclìto, secondo il mio vecchio prof di filosofia, anche se detto da lui suonava più come Ehhaclìto, per via della sua erre del tutto particolare).
Sono Matteo Amoruso, e 53 giorni fa, il 19 giugno 2015 (come direbbe mio padre) "mi è caduta una tegola sulla testa".
Ogni goccia che cade lascia con sé un rumore sordo.
Da lontano è un sibilo, ma poi, avvicinandosi, se ne scopre la potenza vitale e distruttiva; del resto ogni cosa, persino un granello di sabbia, ha una dimensione solo da un certo punto di vista.
Le dimensioni in questa storia non contano, conta la distanza a cui ti trovi rispetto a quel granello, ed io vi ero esattamente sotto.
Quel granello per me è un macigno, ed ogni cosa ad esso legata immensa mentre io rimpicciolisco.
(Ah! Adoro il relativismo con cui la vita ci pone sempre a dura prova!)

***(ho preso le due pillole di mercaptopurina, le ultime di oggi. E' di nuovo notte e di fronte a me si presenta un nuovo quadro, in continuo rinnovamento. Da qui, fermo, si apprezza ogni singolo movimento, ogni singola mutazione del mondo esterno. Del resto di questo si tratta quando si parla di vita: movimento, rinnovamento, mutazione)***

Sono qui, seduto in una stanza che dà sul mondo, ed ora che mi è di fronte mi accorgo di quanto sia grande. Non siamo abituati, a ritrovarci piccoli di fronte a ciò che ci accade. Senza saperlo la nostra superbia non ci fa accorgere che siamo granelli di polvere assai prima di scomparire.
Io sono un semplice seme di soffione che cerca la terra dopo essere stato travolto dal vento. Tu Lettore, oggi uscirai di casa, magari sentirai una lieve brezza sul volto, una di quelle brezze serali tanto piacevoli in questo periodo. Nel tuo sollievo lontano da questa calura estiva, quella stessa brezza ha travolto l'esistenza di un soffione.
Ma tu, Lettore, dopo la passeggiata serale continui la tua vita tranquillo, giustamente il dramma di un soffione, come la distruzione di una goccia, sono cose che non ti toccano.
Sono piccole cose, cos' 'e nient'.
Oggi, dopo questa tua passeggiata serale accenderai la tivù. Magari vedrai quelle solite pubblicità di bambini africani. Lettore, io so già che non te ne potrebbe importare di meno di un volto emaciato (sempre lo stesso) su di un televisore come del resto mai è importato a me, cambierai canale.
Eppure Lettore, quel volto non è l'immagine di una goccia, è il volto di un umano come noi due, cosa ti rende difficile interessarti alla sua causa, patire la sua sventura con lui?
Mentre sei disteso sul divano a guardare al telegiornale tutti i bollettini di guerra, i decessi, le violenze che ci propinano in tivù forse ti sta leggermente calando la palpebra. Fai altro, nessuno ti obbliga di farti carico delle pene del mondo, nessuno pretende da te le sofferenze di Atlante, in fondo non sei tu la causa dei mali che ci affliggono.
Ma cosa causa la tua ignavia? Perché non sei più andato a porre fiori sulla tomba né lo hanno più fatto i tuoi familiari, lasciando che un lontano parente o amico venisse dimenticato?
La distanza.
Quel bambino africano è lontano, troppo perché al nostro occhio non sia un granello, forse del tutto simile ai granelli delle sabbie in cui vive. Noi viviamo al caldo e abbiamo tutto quello che lui potrebbe desiderare, in che modo potrebbe toccarci la sua fame? Su questa Terra in fondo siamo in troppi, no?
Oh, le solite sparatorie lungo le vie crepate di qualche paesello al sud. Granelli anche loro, probabilmente quei ragazzi se la sono cercata, semi scossi dal soffio gelido della morte che ora volano e posano le loro radici nell'Ade.
"Poveri i siriani! Mi dispiace tanto per quei poveracci che vengono invasi dall'ISIS!"
Ma fino a quando rimangono in Siria, sono solo ombre nel buio.
E questo anche io e tutti noialtri siamo.
Uomini in balia del caso.
Torna, torna a casa Lettore, accendi la tivù.
Forse troverai una pubblicità progresso sulla leucemia.
Guardala.
Annoiati.
Cambia canale o aspetta che finisca per goderti il tuo programma preferito.
Ebbene, hai reso anche me cosa lontana, un'ombra dissolta nel buio come lacrime nel mare.
Io sono Matteo Amoruso, ricoverato dal 19 giugno per un linfoblastoma di tipo T acuto.
Un malato.
Un leucemico.
Un essere umano.
Eppure, un'ombra.
Un soffione.
Una flebile traccia.
Ogni cosa ha una dimensione solo da un certo punto di vista.

***(Tra meno di una settimana saranno due mesi di permanenza. Chiamatemi Giovanni Drogo, il tenente irrimediabilmente legato alla sua fortezza, da cui mai riuscì a separasene fra false speranze e sfortune.
Io li vedo, i tartari, i temibili barbari del deserto, che sfilano tranquilli in abiti estivi. Vanno, vengono, fanno visita ai parenti ricoverati, o magari per curarsi loro stessi. Ignorano la bellezza del poter anche solo camminare nel sole. Questa è la mia fortezza, da cui lontano mi congederò. Sarei dovuto uscire giorni fa, ma non ho più potuto per motivi di sicurezza. Uscirò forse fra cinque giorni (da quando sono stato male la parola forse è diventata una delle poche costanti della mia vita, strano, l'incertezza è diventata la certezza.) I tartari non capiscono la distanza fra i nostri mondi, il capovolgimento dei pilastri che reggono la nostra vita quotidiana, in un cambiamento irreversibile del punto di vista.
I tartari, come nel libro dei Buzzati, non verranno.
I tartari stanno bene di salute, la loro vita non è stata fermata da un terremoto come gli orologi.
I tartari sono troppo lontani.)***

Forse leggendo ti sentirai piccolo, chiunque tu sia. Io lo spero, di riuscire a trasmetterti la grandezza di un mondo che per me si riduce a pochi metri quadri. Farti sentire parte minima di questo sistema che è la vita è il mio obbiettivo, perché tu, Lettore, possa ammirare tutte le cose che possiedi.
Cose immense e meravigliose viste da qui.
Come saltare.
Vorrei saltare fino al soffitto.
Romperlo con una bella cozzata di testa.
Sono piccole cose, anche stupide, ma ora si sono fatte immense, ora che non riesco neanche a sollevarmi da terra.
Voglio scrivere bene per poterti rendere simile a me, minuscolo, per farti ammirare la vita che ti pervade.
Io sono questo.


***(Domani il mio compagno di stanza Gianluca uscirà per due settimane. Si godrà i tanti piccoli piaceri del quotidiano e ciò mi riempe di gioia. Vedere un uomo riaffacciarsi sulla propria vita dopo averlo provato fa sentire bene già solo per lui.)***

un rigore di antiche scale

un rigore di antiche scale
sulle soglie del fare impedisce
e dare è sempre
più umano
ma triste
è la portata di una mano
quando stinge la forza
e del dono non rimane
che un dolente desiderio

erbe di tempi amicali
rompono gli indugi di crepe
e il cemento che si stacca
urge sulla pelle e urente
diventa la ferita
dove il mio tempo è passato
crescono silenziosi i manufatti
alieni
d'altra epoca
d'altro tempo
così, di passo
sento che mi allontano
come una voce in cerca di riparo
e di tanto cielo che mi attraeva
null'altro che una pioviggine
che pure amo
mi assale.